Curiosità

Alcune note sul Concerto per fagotto
G.B Polledro
Tre violinisti e un fagotto


Alcune note sul Concerto per fagotto

In assenza di altra documentazione, l’autografo del Concerto per fagotto lascia spazio ad ipotesi e libere deduzioni.

La grafia musicale sicura, rapida, nitida ed estremamente accurata fa pensare a una collocazione in termini cronologici relativa al primo trentennio circa dell’Ottocento. Eseguito o meno (ma probabilmente scritto appositamente per qualche insigne fagottista dei suoi tempi), il Concerto non fu mai del tutto abbandonato dal compositore: infatti, sulla partitura manoscritta è presente una seconda famiglia di segni grafici, aggiunta probabilmente molto tempo dopo.

Dato l’estremo tremore nei segni e nelle indicazioni immesse, tutto farebbe pensare alla fase della malattia di Polledro (“un tremolo alle mani ed ai bracci prodotto più per indisposizione nervale che per età avanzata”, dice un documento preparatorio del pensionamento), il quale nel corso degli anni Trenta è sostituito sempre più frequentemente da Giuseppe Ghebart dapprima al Teatro Regio e poi anche presso la Cappella Regia, per poi venire collocato a riposo nel 1845.

Le nuove indicazioni fanno pensare ad una specie di revisione operata in tarda età (forse per qualche solista piemontese?); perciò ecco comparire indicazioni strumentali od orchestrali faticosamente segnate a parole sulla carta, data la mancanza di spazio musicale nello spartito.

L’estrema precisione anche nelle aggiunte fa pensare ad una finalità pratica e al tempo stesso testimonia la maturità artistica raggiunta, laddove il Maestro abbellisce alleggerendo, od enfatizzando, alcuni passaggi della partitura originale.

Un po’ in tutti e tre i tempi del Concerto, infatti, le nuove indicazioni introducono spesso il dialogo tra oboi e flauti e fagotto principale con piccoli ma significativiinterventi che interrompono il continuo volteggiare della parte solista; nel primo movimento, invece, sono introdotti interventi a piena orchestra indicati con un lapidario «Orchestra».

Le forme adottate sono quelle classiche, ma appare evidente la predilezione per quegli spazi barocchi in cui ad un gruppo ridotto di strumenti (Solo) si contrappone il grande insieme (Tutti), peculiarità peraltro riscontrabile nel Concerto per violino op. 6.

Per tornare al Concerto per fagotto, non manca al suo interno la cantabilità, come dimostra soprattutto l’amabile significativo tema del primo movimento o il dono dell’agilità, ben sfruttato, tra le ripetitive difficoltà invischianti della forma di Rondeau che caratterizza il terzo movimento.

Per finire, il secondo tempo nella sua scarna essenzialità appare come un intervallo di smaltimento, gentile e riflessivo; la sua brevità non stupisce data la maggiore importanza dell’Allegro nei confronti delle parti moderate, dove di fondamentale importanza è l’esaltazione delle capacità virtuosistiche del solista, ovviamente non del tutto applicabili nelle parti più lente.

 

Claudio Mantovani